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copertina 9791254743195 Una vita non basta più
21 settembre 2023  |  Adelaide J. Pellitteri

Una vita non basta più

Trama: Max è uno scrittore di successo, ma le sue notti sono costellate dall’intrusione dei personaggi da lui creati. Questi vengono a reclamare epiloghi diversi da quelli che egli impone. Il primo a presentarsi è un personaggio secondario, una donna a cui lo scrittore ha attribuito la colpa del fallimento artistico di Emerson, il personaggio principale – un musicista che, non volendo seguire la donna, spreca il suo talento in un locale da poco. La donna accusa l’autore di scaricare su di lei colpe che invece ha proprio egli stesso (così come Emerson) riguardo alle scelte della sua vita.
Il tema principale, nonché filo conduttore, del testo è il rapporto che Max non è riuscito ad avere con il proprio figlio – abbandonato in tenera età – e che fa vivere con gli stessi tormenti a Emerson. La trama si evolve fino a far emergere il rapporto che Max non ha avuto, a sua volta, con il proprio padre e mille altri aspetti della sua vita, come la stanchezza di scrivere e la frequentazione di un centro per alcolisti.Le giornate di Max si svolgono, via via, tra realtà e personaggi immaginari dando vita ad un intreccio particolarmente realistico di quella che è la vita di uno scrittore.
Deciso a fare il bello e cattivo tempo nella vita dei suoi personaggi, alla fine potremmo definire Max: vittima consapevole di se stesso.

Recensione: Mi piace esordire dicendo che lo Schiraldi è stato capace di mettere nero su bianco, in modo originale, tutte le paturnie degli autori. Giornalista di professione con numerosi romanzi di successo pubblicati dal 1973 ad oggi, nonché autore di testi teatrali e per lungo tempo voce radiofonica di Rai Radio Uno, ci presenta il suo ultimo lavoro: Una vita non basta più.
Sulla quarta di copertina leggiamo. “La fuga in un mondo immaginario sta diventando l’alternativa a una realtà che non riusciamo a modificare”. Per quanto ciò sia vero, in questa mia recensione preferisco sottolineare la scelta tecnica dell’autore.
Dall’incipit all’epilogo di questo ben congegnato romanzoil lettore vive l’alternanza tra realtà e immaginazione, tra storie vere e storie inventate. Lo Schiraldi avrebbe potuto scrivere diversi racconti narrando ora dell’uno ora dell’altro personaggio, invece, sceglie di mescolare il tutto e lo fa con grande capacità, grazie a una scrittura scorrevole e nitida. In fondo, se riflettiamo bene, la vita che ognuno di noi vive non è a scomparti. Ancor meno lo è quella di un autore.Esso non vive solo una storia reale e, conclusa questa, ne vive poi una di sua invenzione, no!
È naturale, e lo è per tutti, che mentre si viva una storia, si ascolti il racconto di quella di altri, è la norma, la si sente dal vicino di casa, la si ascolta in TV…
A Max accade proprio questo, tra un’incursione notturna e l’altra dei suoi personaggi, incontra persone reali: Carol, Marta, il professore, Brenda, il proprio manager, l’attore che interpreta la serie televisiva di successo tratta da un suo libro. E ognuno di questi,con la propria storia, il proprio “racconto”, interagisce con il presente di Max; ascoltandoli gli torna in mente ciò che ha scritto di Tommy Lee Jones (storia bellissima), ciò che gli hanno detto Dakota o Emerson… In questo modo realtà e immaginazione diventano trama e ordito creando il tessuto letterario.
Devo ammettere che inizialmente mi sono sentita un po’ spaesata. Seguire questa alternanza non era lo stesso che seguire flashback e flashforward, era qualcosa di più articolato, tanto da non riuscire a individuare, lì per lì, la coerenza della trama; però, entrata nel vivo della narrazione, ve lo assicuro, è stato una piacevole scoperta fino all’epilogo che mia ha conquistata del tutto. Una lettura appagante e sorprendente.

P.S: dopo la lettura mi è venuto in mente che in un futuro, forse nemmeno troppo lontano, degli scrittori si dirà: Sono stati primi frequentatori di realtà virtuali.

Riporto adesso alcuni stralci:

“Ascolta, Dakota, io scrivo quello che mi va di scrivere. Tu non esisti, sono io che ho fatto di te un personaggio nei limiti che mi sembravano più opportuni, esercitando le mie prerogative E pertanto non intendo rimetterle in discussione”.
“Parli dei limiti di un personaggio secondario, suppongo, ma questo non ti autorizza a fare di me una figura senz’anima. Per te, insomma, ero solo un pretesto perché Emerson lasciasse la sua famiglia rinunciando anche alle sue ambizioni artistiche per mettersi a strimpellare in uno squallido locale sulla 42esima. Forse avresti dovuto chiederti se il fallimento artistico di Emerson fosse imputabile alla pochezza del suo talento ma hai preferito addebitarlo ad una donna per cercare in qualche modo di salvare la sua figura. Sbaglio o anche a te è successa più o meno la stessa cosa?...” (pag. 9).

Dopo quelle parole cadde il silenzio. L’immagine di Dakota Greyson si era dissolta nel buio e ancora una volta Max avvertì la stanchezza che gli derivava dalla responsabilità di quelle vite sulle quali, come ogni scrittore, poteva esercitare un incontrastato dominio, un potere a lui concesso ma negato a quanti non sarebbero mai riusciti a governare la propria esistenza (pag. 11).

In seguito si era chiesto più volte se la vita avrebbe offerto anche a lui una storia alternativa che gli avrebbe consentito di modificare la sua, ma non era ancora riuscito a decidere nulla in proposito e si limitava ad osservare Emerson, che gli faceva quasi da battistrada, aspettando che venisse da lui la soluzione di cui avvalersi (pag 13).

Gli piaceva scoprire una inconfessata parte di se stesso indossando come un costume, se non addirittura una maschera, l’identità di un personaggio che pareva scaturito dalla sua fantasia mentre in realtà viveva da sempre dentro di lui (pag 15, l’eterno dilemma di chi legge: parla di se stesso o no?).

“Torniamo nel mondo reale, Max. A che punto sei con il tuo romanzo?” “Sono quasi alla conclusione, e sto raccogliendo appunti per il prossimo ma a fatica. Forse sto invecchiando o forse mi sta passando la voglia di scrivere…” “Non è come smettere di fumare. Quando uno scrittore decide di rinunciare a scrivere e si lascia andare è segno che vuole morire… o che sta male… Forse per questo vengono a trovarti i tuoi personaggi, vogliono che tu non li renda orfani (pag. 16, giusta osservazione).

Tuo padre è in ospedale, lo aveva avvertito, e lui aveva promesso di partire al più presto possibile, pur sapendo che stava mentendo, perché aveva deciso di dormire un’ultima volta con Brenda. Partì quindi soltanto l’indomani. Una volta in città, appena sceso dal pullman, non era andato a casa, era corso direttamente all’ospedale. La cameretta era spoglia, il letto disfatto. Gli infermieri avevano già portato via il corpo per depositarlo nella camera mortuaria. In corridoio c’era sua madre, senza più lacrime. Per lui c’erano state solo poche parole. “Tuo padre è morto un’ora fa”, quasi avesse voluto ricordargli che non aveva fatto in tempo a vederlo in vita per l’ultima volta per non avere rinunciato ad un’ora della sua (pag 206).
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