Pistola, sabbia e bugie: ecco perché è stato condannato.
VERSIONI – La tesi dell’errore giudiziario e l’ergastolo di 24 anni fa.
L’errore giudiziario è sempre dietro l’angolo, ma la storia di Enrico “Chico” Forti non è quella di una condanna campata per aria. La sera del 15 febbraio 1998, l’italiano era sul luogo del delitto, che conosceva bene perché era la spiaggia di Virginia Key frequentata da surfisti come lui, in un orario compatibile con quello dell’uccisione dell’australiano Dale Pike, 42 anni, volato a Miami per trattare la vendita di un albergo di Ibiza per conto del padre Anthony. La presenza di Forti è attestata dalla cella telefonica che il suo apparecchio agganciò per chiamare la moglie. Mentì anche a lei, oltreché alla polizia, ma poi venne fuori che era andato a prendere l’australiano all’aeroporto e Forti disse di aver mentito per paura. Ma perché mentire anche alla moglie, quando secondo la sua versione in quel momento non poteva neanche immaginare che Pike fosse stato ucciso?
Dopo il delitto, “Chico” fece lavare in modo molto approfondito la sua macchina, al punto che la polizia non trovò mai tracce biologiche di Pike, che pure senz’altro aveva viaggiato su quell’auto, anche se fosse vero che Forti l’aveva lasciato davanti al ristorante della spiaggia. Sul gancio di traino coperto, però, erano rimaste tracce della sabbia di quel tratto di arenile, ma naturalmente secondo gli innocentisti è la stessa di altre spiagge di Miami. E ancora, poco prima del delitto, “Chico” aveva comprato una pistola calibro 22, lo stesso tipo d’arma che uccise Pike, sia pure intestandola a un altro ma pagandola con la sua carta di credito. L’arma non è mai stata ritrovata. Forti però non ha un alibi per il lasso di tempo a cui l’analisi medico-legale fa risalire l’omicidio, arrivò in ritardo dove doveva andare.